L’art. 103 DL Rilancio, rubricato “Emersione di rapporti di lavoro”, introduce la possibilità di regolarizzare, mediante deposito di apposita istanza, il rapporto contrattuale con il lavoratore al fine di produrre i medesimi effetti di un contratto di lavoro subordinato con cittadini presenti sul territorio nazionale, ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri.
Si tratta di una misura a sostegno dei lavoratori, dei professionisti e delle piccole medie imprese italiane.
In realtà la norma introduce una doppia sanatoria: da un lato regolarizza rapporti di lavoro irregolari di lavoratori italiani o stranieri, dall’altro introduce per lo straniero con un permesso di soggiorno scaduto la possibilità di ottenerne uno in deroga alle regole “ordinarie” della durata di sei mesi.
Potranno presentare l’istanza i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
E saranno soggetti a tale istanza i cittadini stranieri che sono stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell’8 marzo 2020 ovvero che hanno soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data, in forza della dichiarazione di presenza, resa ai sensi della Legge 28 maggio 2007, n. 68, e che, in entrambi i casi, non abbiano lasciato il territorio nazionale dall’8 marzo 2020. La norma, quindi, si riferisce esclusivamente ai lavoratori con un rapporto di lavoro già in essere e/o il cui datore di lavoro sia “disponibile” all’assunzione o alla sua conferma. A differenza delle regolarizzazioni degli anni passati, non è previsto il rilascio di un permesso di soggiorno per la ricerca di un lavoro, nemmeno nel caso in cui il datore di lavoro, contrariamente alle sue intenzioni e volontà, si trova nell’impossibilità di stipulare il contratto di lavoro.
Numerosi, però, saranno gli stranieri che non potranno accedere alla procedura non potendo fornire la prova della presenza nel territorio italiano perché mai stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici Non è inusuale, infatti, che a un cittadino straniero non siano mai state prese le impronte digitali né in sede di ingresso né durante la permanenza nel territorio nazionale. In mancanza di rilievi fotodattiloscopici, possono comunque essere ammessi alla procedura i lavoratori che, comunque, sono in grado di provare la sussistenza di un rapporto di lavoro preesistente rispetto alla domanda nei settori professionali citati nella normativa.
Viene, invece, riconosciuta ai cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in altro titolo di soggiorno, la possibilità di richiedere e ottenere un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio nazionale, della durata di mesi sei dalla presentazione dell’istanza. Il permesso sarà convertito sempre che i predetti risultavano presenti sul territorio nazionale alla data dell’8 marzo 2020 e abbiano svolto comprovata attività di lavoro, nei settori di cui al comma 3, antecedentemente al 31 ottobre 2019.
La norma, quindi, anche qualora non si proceda alla regolarizzazione del lavoratore straniero, dà la possibilità ai cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019 di richiedere “un permesso di soggiorno temporaneo” della durata di mesi sei dalla presentazione dell’istanza.
La rubrica della norma nasconde un’applicazione della stessa tutt’altro che generale facendo riferimento esclusivamente ai lavoratori impiegati nelle seguenti attività:
a) agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse;
b) assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza;
c) lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.
Resta, quindi esclusa ogni altra attività di produzione di beni e servizi, ed in particolare il settore edilizio, ove storicamente il peso del “lavoro in nero” ovvero l’apporto da parte di lavoratori stranieri è rilevante.
I soggetti chiamati ad esaminare le varie istanze cambieranno a seconda del tipo di domanda avanzata:
- in caso di regolarizzazione del “lavoro nero” da parte di cittadini italiani o di uno Stato membro UE, ci si dovrà rivolgere all’INPS;
- mentre per il dipendente extracomunitario ci si dovrà rivolgere allo sportello immigrazione del ministero dell’Interno;
- lo straniero che vorrà chiedere il permesso temporaneo di soggiorno, infine, dovrà rivolgersi direttamente alla Questura.
Il testo del DL Rilancio introduce la previsione di un contributo di € 500,00= per ciascun lavoratore, oltre ad un contributo forfettario per le somme dovute a titolo retributivo, contributivo e fiscale, in caso di presentazione di domanda volta all’emersione di un rapporto di lavoro irregolare, e un contributo di € 130,00=, con riferimento alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo.
Concreto è il rischio che, nonostante le direttive ministeriali, i tre enti coinvolti, tra loro differenti, procedano autonomamente l’uno rispetto all’altro senza un seppur doveroso coordinamento.
“Costituisce causa di inammissibilità delle istanze di cui ai commi 1 e 2, limitatamente ai casi di conversione del permesso di soggiorno in motivi di lavoro, la condanna del datore di lavoro negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per: a) favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’immigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite, nonché per il reato di cui all’art. 600 del codice penale; b) intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell’articolo 603-bis del codice penale; c) reati previsti dall’articolo 22, comma 12, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni ed integrazioni”.
E ciò a discapito del lavoratore il quale, nonostante abbia lavorato per mesi per un datore di lavoro al pari di un lavoratore subordinato ma senza alcuna tutela, si vede escludere la possibilità del riconoscimento delle tutele offerte dalla norma per esclusiva responsabilità di datore di lavoro.
Costituisce, invece, causa di rigetto della domanda di conversione del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, la mancata sottoscrizione da parte del datore di lavoro del contratto di soggiorno presso lo sportello unico dell’immigrazione ovvero in caso di mancata assunzione dello straniero.
D’altro canto, anche la presenza di precedenti penali in capo al lavoratore esclude la regolarizzazione del rapporto di lavoro.
Rileva, invece, ai soli fini di una verifica della pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, la condanna anche non definitiva, compresa quella pronunciata a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti, per uno dei reati previsti dall’art. 381 c.p.p.
L’adesione alla procedura, per chi presenta l’istanza (datore e lavoratore), sospende i provvedimenti penali ed amministrativi relativamente a lavoro nero, e ingresso irregolare nel territorio dello Stato.
La sospensione cessa qualora non venga presentata l’istanza, ovvero interviene il rigetto o l’archiviazione della medesima. Verranno comunque archiviati gli aspetti penali e amministrativi se la non conclusione è a causa di forza maggiore, se l’esito negativo del procedimento derivi da cause indipendenti dalla volontà o dal comportamento del datore medesimo.
Si noti, inoltre, che nelle more della definizione del procedimento di regolarizzazione lo straniero non può essere espulso, tranne che nei casi previsti dal comma 10, peraltro ostativi all’accoglimento della domanda di regolarizzazione.
Il contratto di soggiorno stipulato sulla base di un’istanza contenente dati non rispondenti al vero è nullo ai sensi dell’art. 1344 c.c. e il permesso di soggiorno eventualmente rilasciato è revocato.
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